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GUIDA TURISTICA DEL PIANETA TERRA: UN'ESILARANTE AVVENTURA DALLA NAMIBIA ALLA LIGURIA
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GUIDA TURISTICA DEL PIANETA TERRA: UN'ESILARANTE AVVENTURA DALLA NAMIBIA ALLA LIGURIA
L'Africa, oltre a essere una destinazione da sogno per molti viaggiatori, è un continente
gigantesco pieno di sfaccettature. Eppure, quando si sogna un viaggio verso il Kenya o
la Namibia, spesso si dice: "Vorrei andare in Africa". E' un'affermazione piuttosto strana, se
ci riflettete: chi parte per il Giappone non dice: "Vado in Asia"; chi desidera visitare il Brasile non pensa genericamente "all'America".
Cos'è, dunque, che differenzia Mamma Africa dagli altri continenti? Perché esiste il Mal d'Africa e
non - per dire - il Mal d'Europa?
Personalmente, iniziai a intuirlo al ritorno dal mio viaggio tra Namibia e Botswana (con rapide puntate
in Sud Africa, Zimbabwe e Zambia: qui l'itinerario).
Eravamo tre amici a bordo di una jeep, con le tende sul tetto, su cui percorremmo 8000 km tra deserti,
giungle e savane. Mentre vagavamo per la Namibia, era molto raro incontrare qualcuno. Talvolta, attraversavamo cittadine
dove tutti, di mestiere, facevano i meccanici o i camionisti (trasportavano legname, frutta o animali a bordo di camion
stracarichi che avevano bisogno di un meccanico). La popolazione era formata per la gran parte da giovani
che non vedevano l'ora di chiacchierare davanti a un bar che pareva una baracca.
Ogni sera campeggiavamo dove ci capitava, il che significava uscire da una strada sterrata dove non passava
nessuno per sballottare a bordo della jeep su un tratto di savana, aprire le tende, accendere il falò e cucinare
qualcosa mentre il cielo si colorava di rosso fuoco. Quella era "Africa", anche se non riuscivamo a descrivere
le sensazioni provate.
Una volta, nel Damaraland, stavamo campeggiando a mezzo chilometro dalla sterrata principale. In tutta la notte
vedemmo passare le luci di quattro o cinque auto. Fu la serata più trafficata di quella prima parte di viaggio.
Ci domandavamo se ci fossero bestie carnivore, nei dintorni.
In effetti, c'erano. Le vedemmo nei giorni successivi. Nell'Etosha National Park trattenemmo il respiro mentre
osservavamo due ghepardi dare la caccia e uccidere una gazzella; l'Africa era una mamma severa.
Mentre guidavamo verso le regioni settentrionali della Namibia, la popolazione diveniva più densa, ma non meno
amichevole. Un giorno ponemmo un mucchio di domande a un tizio anziano, bruciato dal sole, con gli occhi rossi e un sorriso giallo e larghissimo. Ci scusammo per il disturbo e lui ci rispose: "Nessun disturbo, questa è Africa". Quella frase ci rimase nel cuore.
S'incontrava gente strana che parlava di continuo, come la signora sovrappeso che senza chiedere ci montò in
macchina per farsi accompagnare in ospedale. Lì eravamo quasi al confine con l'Angola. C'era una strada sterrata con
continui saliscendi, poi un fiume, e più in là, un altro stato misterioso, da esplorare.
L'Africa era gentilezza, era esplorazione, cos'era?
Noi continuammo verso il Botswana e poi lo Zimbabwe e lo Zambia per ammirare le cascate Vittoria, un'altra
meraviglia naturale. Ciò che più ci stupì fu forse il Chobe National Park, in Botswana. Migliaia di gazzelle,
gnù ciondolanti, branchi di zebre, ippopotami che si rotolavano in acqua; vagavamo con la jeep per strette piste
sterrate, non incontravamo nessuno a parte qualche giraffa. Campeggiammo nella foresta, tra scimmie ed elefanti.
Mentre percorrevamo una delle strade principali del Botswana - comunque poco trafficata, devo dire - ritrovammo
le città, dotate, in alcuni casi, di piccoli centri commerciali e persino di fast-food. Dopo due settimane di tenda e
savana, eravamo dei veri selvaggi. Le commesse ci guardavano e ridevano, forse perché dei pochi occidentali di passaggio nessuno era affascinante e sporco quanto noi. Ricordo che campeggiammo vicino a degli struzzi.
Quel viaggio strepitoso sia per la fauna che per i paesaggi, ma soprattutto per le emozioni, alla fine volse al termine.
Tornato a casa mi domandai cosa fosse il Mal d'Africa. Mi venne la febbre. Un tantino eccessivo. Pensai fosse malaria,
ma no, solo una banale mononucleosi. Fatto sta che, a casa, circondato da amici e parenti, mi sentivo solo. Mi confrontai
coi miei compagni di viaggio, che provavano la stessa sensazione di solitudine. Nessun'altra vacanza ci aveva mai
provocato un simile sentimento.
E così, all'improvviso, ebbi l'illuminazione. Capii che l'Africa che tanti cercavano era molto più di un continente
particolarmente caldo: era un insieme di avventura, di emozioni forti, di calore delle persone e dei tramonti. Era
una speciale comunione tra uomo e terra. Anche noi, nella nostra fortunata posizione di viaggiatori sulla jeep, avevamo
affidato le nostre sorti a Mamma Africa e c'eravamo sentiti un tutt'uno con quel mondo in cui è la natura a comandare, a
cadenzare l'esistenza, a regolare i rapporti umani. Ne avevamo appena sfiorato l'anima profonda, ma già ne sentivamo la mancanza.
La parte selvaggia dell'uomo, addormentata in Occidente dai lavori d'ufficio o dai centri commerciali, talvolta dev'essere
risvegliata, o del tutto riscoperta. Esplorare l'Africa è ricercare questa selvaggia radice umana.
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La continuazione di questo safari in Africa è descritta qui: Informazioni
di viaggio e itinerario in Botswana.
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